- home -            Write Club

 

 

Il WRITE CLUB è stato un divertentissimo 'esperimento' di concorso letterario tra gli Occhioni, iniziato a Febbraio 2005 e concluso con votazioni truffa, tra mille polemiche (imazza, sempre loro), quasi sull'orlo della rissa.

 

Questo il messaggio che apriva il WC:

 

"Signori e Signore, benvenuti al Write Club.
Prima regola del Write Club: non parlate mai del Write Club
Seconda regola del Write Club: non dovete parlare MAI del Write Club
Terza regola del Write Club: se qualcuno scrive basta, molla, è spompato, fine del combattimento.
Quarta regola: si scrive solo uno per volta.
Quinta regola: un combattimento alla volta, ragazzi.
Sesta regola: non esiste un luogo per il Write Club, fatelo ovunque, anche con un pezzo di carta, anche a parole, ma trovate chi ve le scrive.
Settima Regola: alla fine del combattimento tutto quello che avete scritto non esiste, non si stampa, non si legge, non si salva.
Ottava e ultima regola: se vi prudono le mani e volete scrivere benvenuti al Write Club."



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Aprile 2005

Questo è l'elenco finale dei racconti pubblicati nel Write Club (in ordine di inserimento):

 

1.      Dedicato a...  - Cininnotta

2.      Pensieri privati - Inevitabile - Cininnotta

3.      La Banda degli infami - II parte  - Whittard

4.      Pensieri e parole  - Ramon

5.      Tra il sogno e la realtà  - Nisa

6.      VC   - Linux

7.      Quello che vorrei   - Tony Brando

8.      Una notte stellata   - Zia Franka

9.      TV nel cielo - di Fox

10.  Vendetta personale   - Tony Brando

11.  I miei amici-nemici    - Wilma

12.  Dimensioni    - Moon

13.  Un modo per scusarsi    - Zia Franka

14.  L'uomo della tua vita   - Linux

15.  Illusioni   - Tony Brando

16.  Poesia impressionista   - Linux

17.  De Felicitate   - Pds

18.  About a girl   - Poppy

19.  Dài, rispondi...   - Poppy

20.  Una favola moderna rimasta in fondo al cassetto   - Liz

21.  Storia di Juan - nautilus   - Linux

22.  Raccolta Punti   - Linux

23.  Che notte!   -  Campari

24.  Anja  - Pds

25.  Merda   - Latte di Capra

26.  Una lunga attesa d’amore   - Whittard

27.  Lettera aperta all'Anima    - Wilma

28.  Pupazzetti   - Ramon

29.  Write Club  - Ramon

30.  Il Tuffo   - Moon

31.  WC, ovvero "il grande balzo"   - Tony Brando

32.  C&A   - Linux

33.   Lucio  - Latte di Capra

 

 

 

 

 

 


Lucio   - Latte di Capra

 

Ci sono eventi, incontri nella nostra vita che ci cambiano profondamente, altri invece ci lasciano completamente come ci hanno trovato, forse perché non sappiamo valutarli per quel che sono.
Quando incontravo Lucio non sapevo che sarei rientrato a casa un po’ più ricco di come ne ero uscito, l’unica certezza era che avrei passato tutto il tempo sul tram a pensare di ridare un ordine alla mia mente di adolescente, ma che non ci sarei riuscito, trovare la soluzione dei problemi era per me come guardare la strada dai vetri appannati di quel tram, avevo bisogno di un panno che mi liberasse gli orizzonti.
Un panno chiamato Lucio.
<A volte mi sento come un chewing-gum usato, sfruttato ed attaccato sotto una panca.> mi disse.
<Siamo stati talmente in sintonia da raccontarci cose che nemmeno le nostre mamme avrebbero mai immaginato.
Ci siamo addentrati così in noi da provare schifo di noi stessi e portato alla luce dei fatti che il subincoscio è rimasto annichilito e ha presentato le dimissioni. ah ah ah !!!>
Una cosa che gli ho sempre invidiato era la sua risata, corposa , grassa, una risata da grandi personaggi del cinema, un paracadute che ti salva e ti tira fuori dai guai in ogni situazione.
<Alcuni amici si lasciano così, senza un motivo particolare, senza che tu li abbiamo delusi od offesi. Due parallele che si staccano e si allontanano, da prima impercettibilmente poi sempre di più giorno per giorno.
È lì che ti senti un chewing-gum senza sapore indurito ed inaridito.>
<Amico mio, anch’io nella mia vita ho lasciato tanti e poi tanti chewing-gum in giro, non credere.
Tuttavia, se non ti affretti a dare un senso alla tua vita , sarai abbandonato anche tu un giorno l’altro, senza motivo e non saprai dartene una ragione>. Mi guardò e capì cosa stavo pensando, aggiunse <se non nessuno ti abbandonerà sarai tu stesso ad abbandonarti, diventerai vecchio e annichilito e senza forze, molti perderanno interesse per te perché non sarai più bello da vedere e tuoi denti perderanno smalto, ed allora anche la tua risata perderà il suo fascino.
D'altronde …vaghiamo tutti nelle tenebre alla ricerca dell’uscita, alla fine moriamo senza aver capito nulla>
Concluse cosi quel discorso, avevo troppo rispetto per lui per fargli domande che in quel momento mi sembrò meglio tacere, forse ebbe paura di sconfinare nel retorico o forse fu raggiunto dalla più profonda tristezza, quella dei poeti.


 

C&A   - Linux

 

Forse ci siamo sfiorati,
in alto mare,
dove nessuno sa,
dove dentro di noi
siamo simili
siamo noi
siamo lontani
siamo vicini
siamo...

 


 

WC, ovvero "il grande balzo"   - Tony Brando

 

Un uomo stava da solo nel suo studio.
Era un uomo di successo; 48 anni, in piena salute, sportivo, molto ricco; era un architetto. Il suo nome era William Charlton.
Purtroppo per lui la moglie lo aveva beccato in flagrante adulterio; rientrata a casa fuori dall'orario abituale lo sorprese a letto con un'altra. La moglie gli fece una scenata, lo picchiò e picchiò anche la donna che stava a letto con lui.
William e la moglie si erano conosciuti 25 anni prima ad Oxford; lei era una matricola spaesata e lui stava per laurearsi alla prestigiosa Scuola d'Arte ed Architettura. La ragazza si chiamava Claire Wortington.
Claire si laureò 4 anni più tardi e quindi si sposarono; ebbero due figli, Winston e Catherine. Tutto normale finchè Claire, ormai famoso avvocato, quel giorno non decise di averne abbastanza del lavoro.
William se ne stava fermo alla sua scrivania; davanti a lui il monitor a cristalli liquidi con la schermata nuda di Autocad. Era domenica mattina e Londra si era ormai svegliata da un pezzo. Si vergognava di William; aveva tradito la moglie molte altre volte, ma non era mai stato scoperto e Claire non aveva mai sospettato nulla.
Finalmente William si mosse; si alzò dalla poltrona in pelle e diede un'ultima occhiata al suo uffico: la foto che lo ritraeva con Claire, Winston e Cathy a Roma nel '98; i preziosi dipinti; il suo tavolo da disegno su cui non metteva più mano da troppo tempo.
Quant'era cambiata la sua vita in quegli ultimi giorni; decise che quella domenica sarebbe stato il grande giorno. Si incamminò nel corridoio ed entrò nella toilette; si guardò allo specchio per sistemarsi la costosa cravatta di Burberry's e fece il Grande Balzo. Si tuffò nel WC.

 


 

Il Tuffo   - Moon

 

Sull’orlo di una scogliera altissima, il mare invitante e minaccioso attira verso di se quella figura di donna.
Il dubbio, la paura di un salto in quel mare che potrebbe trascinarla verso il basso senza più darle la possibilità di risalire, o che invece potrebbe respingerla.
La curiosità la spinge come due forti mani dietro le sue esili spalle, pochi secondi ed è immersa in quel liquido scuro, in un turbine di spinte che le fanno girare la testa, le fanno perdere l’orientamento, non sa più se sta scendendo o sta risalendo, se sta girando su se stessa o se è ferma.
Lentamente apre gli occhi, è quasi ferma, sospesa, in un vuoto che l’accarezza dolcemente come seta sulla pelle, l’assenza di suoni la riempie di emozioni, i colori indefiniti la illuminano e le danno serenità.
Per sentire appieno quella carezza toglie le scarpe, la gonna, no la sua maglietta no…potrebbe aver freddo….inizia a muoversi, più libera senza quei vestiti che l’avevano riparata dal freddo della scogliera, quelle scarpe che le avevano riparato i piedi dai sassi appuntiti, come un uccello che vola senza peso, come una farfalla che osserva i fiori colorati.
Esplora quel mondo che prima le aveva fatto tanta paura.
Sì, ricorda vagamente di averlo già visto, di aver già fatto quel salto, ma aveva completamente dimenticato tutto, la sua mente aveva cancellato quei ricordi e non riesce a capirne la ragione.
D’un tratto, osservando un bellissimo corallo rosso poggia il piede nudo su qualcosa, un dolore acuto la sorprende come un brusco risveglio.
Sembrava non si potesse provare dolore avvolta in quel manto morbido e rassicurante, forse non avrebbe dovuto togliere le scarpe.
Per vedere la ferita al piede si piega e la mano urta su un alga che l’avvolge e la stringe con forza trattenendola nei movimenti, la mancanza di ossigeno la confonde, quell’ossigeno di cui sembrava poter fare a meno.
La paura del dolore, il terrore di non riuscire a liberarsi da quella stretta, sono i suoi padroni.
La sua mente cerca di raccogliere tutta la lucidità di cui ha bisogno per uscire da quella situazione, è confusa, impaurita, prova ad alzare lo sguardo verso l’alto, quasi a cercare una soluzione, vede in lontananza una luce, forse è una via di fuga, forse se ci prova può riuscire a liberarsi da quella morsa, recuperare l’ossigeno che è rimasto nel suo corpo, dimenticare il dolore della ferita e ritrovare la spinta per risalire.
Eccola, finalmente fuori, un respiro lunghissimo per riattivare i polmoni e per recuperare l’enorme fatica, la scogliera è lì davanti a lei, non sarà facile ancora priva di scarpe, risalire su in cima, ma l’abitudine al dolore le da il coraggio di superare anche questa risalita.
Le ferite che si è procurata le ricordano il momento in cui il suo corpo è stato colpito, ma il calore del sangue le da sollievo, la cima della scogliera è vicina, ecco, un ultimo sforzo, un ultima ferita nelle mani ormai stanche.
Si distende sulla terra fredda e pungente, il vento che scivola sull’unico indumento che ancora indossava le da intensi brividi sulla pelle.
Il respiro affannoso lentamente riprende il ritmo regolare, un raggio di sole le scalda il corpo e l’animo, raccoglie i suoi pensieri, i ricordi di quel breve viaggio e li chiude in uno scrigno della sua mente, ne prende la chiave e la getta giù dalla scogliera.

 


 

Write Club  - Ramon

 

sono in aereo verso milano.
tra un'ora e 45 minuti avrò un meeting con tutto il management emea (europe, middle east, africa): eric shefler, il temuto responsabile delle linee di prodotto, gary lloyd, il nuovo capo della mia divisione, il direttore generale e i vari manager. novanta minuti di slides, numeri, domande e risposte, tutto in inglese. mamma mia!
ma sono con la mente altrove, assorto in una interessante lettura. già. giorni fa, giocherellando su internet alla ricerca di qualche bella fanciulla o club "particolari", sono incappato in un club assai "particolare": il write club. mi ha incuriosito, e visto che ormai si era fatta ora di uscire ho stampato il suo contenuto. persone comuni dai nick improbabili lasciavano sfogo in quel club alle loro fantasie narrative. poesie, racconti, riflessioni, autobiografie (?).. tutto molto spontaneo e puro. mi sembrava quasi di immaginarli mentre scrivevano i loro racconti.. la dj campari alle prese con la sua serata, la signora zia franka che contempla le stelle, wilma alle prese con i suoi sogni.. in questo tipo di narrativa si evidenzia il carattere delle persone, il loro stile, la loro sensibilità. è stato bello leggere tutti quei racconti, e mi sembra già di conoscere un po' ognuno di loro, di questi, così si fanno chiamare, occhioni... devono essere proprio forti!!!
bravi occhioni!!

 


 

Pupazzetti   - Ramon

 

dormi.
in posizione fetale, quella che ancora ti è più naturale,
la bocca socchiusa, le palpebre chiare.. sei bellissima.
poi il braccio fino ad arrivare alla mano, anch'essa socchiusa; accanto un pupazzetto che il sonno ti

ha fatto sfuggire, contro la tua volontà..
lo hai tenuto in mano per tutto il giorno, da quando hai aperto gli occhi ieri;
ti ha tenuto compagnia durante la colazione, mentre mamma ti lavava e ti vestiva, mentre guardavi la tv.
e poi ancora ci hai giocato facendogli prendere vita e parola, passandolo da una mano all'altra insieme ad altri pupazzetti come il teatrino delle marionette. sei fantastica..
hai delle manine talmente piccole che a volte mi chiedo come tu riesca a tenere due, tre, quattro pupazzetti sempre stretti contemporaneamente... e perchè poi?
hai paura di perderli? che tua sorella te li prenda? che possano prender vita e scappare?
o semplicemente ti fanno compagnia, sono i tuoi amichetti preferiti!
quanto mi fai ridere guardandoti giocare e proteggere i tuoi pupazzetti, chissà se li sogni anche..
tra poco ti sveglierai, un attimo di smarrimento, lo sguardo rassicurante della mamma, la ricerca dei pupazzetti.. e di nuovo la presa!
passerai un altro giorno insieme a loro per portarli in chissà quali fantastiche avventure..
ti adoro lavi..

 

 


 

Lettera aperta all'Anima    - Wilma

 

Ciao Anima,

eccomi di fronte a mille pensieri che mi affollano la mente forse un po’ confusi ma che devono trovare una collocazione per questo ho deciso di scrivere a te…chi può capirmi meglio della mia anima?
Iniziamo parlando dei mutamenti subiti durante la mia esistenza.
Non saremmo umani se non subissimo dei mutamenti, e coloro che si impedisco un’ evoluzione si impongono limiti non necessari.
I cambiamenti ci fanno apprezzare ciò che li ha preceduti: come potremmo gioire del Sole se la Pioggia non l’avesse preceduto?
Per quel che mi riguarda, sono fiera di aver sbagliato in passato, di essere stata una persona diversa o quant’altro, perché ora ho termini di paragoni migliori. Amo mettermi in gioco, analizzarmi e sminuirmi se necessario per trovare altri piccoli traguardi da raggiungere. La vita è un percorso, un viaggio senza fine. Trovo incomprensibile il fermarsi o il rinunciare a viaggiare. Il passato spesso però è un fardello troppo pesante da cui scrollarsi, bisogna avere coraggio nel continuare il viaggio senza bagagli e riempirsene di nuovi fatti di presente e aspettative future. È la possibilità che ciò che vogliamo accada la nostra forza.
Ti confesso però che a volte trovo difficile vivere delle piccole cose. Avrei voglia che tutti vedessero il mondo con i miei stessi occhi, che apprezzassero come me il sorriso di un bimbo, un fiore che sboccia, un treno che irrompe nei pensieri all’improvviso, uno sguardo ricambiato, un abbraccio intenso… Per molti, per troppi, la vita ha un ritmo diverso, e la diversità non è sempre vista come ricchezza.
Poi capita di incontrare persone che mi ricordano che la vita non è torpore ma un sogno ad occhi aperti, e mi verrebbe voglia di correre su un prato verde a perdifiato, e cadere tra le braccia di qualcuno il cui sorriso mi mozza il fiato piu’ della corsa stessa, e sentirmi bene ad ogni battito che percepisco del mio cuore.
Sai, ho una gran voglia di partire. Per me ogni partenza è una specie di rinascita, mi riempio di nuove energie e riempio i miei occhi di immagini che saranno solo mie e di cui mi ciberò nei momenti piu’ bui. Poi, al rientro, mi accorgo che non ho mai desiderato arrivare realmente, perché ottenendo qualcosa è come se già l’avessi persa…

a presto Anima mia…


 

Una lunga attesa d’amore   - Whittard

 

Roma è una città incredibile; fatta di persone incredibili.

L’energia che sprigiona la città e tutti i suoi abitanti è pari alle storie che vi si intrecciano e che si dipanano nelle sue vie intrise di storia.

Trastevere è forse il quartiere che più di tutti esprime la sua ‘romanità’, con i suoi vicoli stretti e tortuosi, le botteghe degli artigiani, i panni stesi tra i palazzi, ma soprattutto la gente, persone fiere ed orgogliose di essere romane.

 

Se vi trovate a girare tra le sue viuzze, provate a  chiedere alle persone che vi abitano di raccontarvi la storia di Ninni.

Tutti la conoscono e ognuno vi racconterà la propria versione.

Questa è quella che è stata raccontata a me.

 

Ninni aveva atteso 60 anni esatti, quando morì il 16 ottobre 2003.

Aveva 83 anni.

In realtà c’è chi dice che era morta molto tempo prima,  esattamente la mattina del 16 ottobre 1943, quando durante l’occupazione nazista, oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere e oltre 1000 ebrei romani vennero trascinati via dalle loro case e deportati nel campo di concentramento di Auschwitz.

Tra questi anche Mario, il suo fidanzato.

Svegliata dal trambusto a quell’ora insolita, si affacciò dalla finestra della sua camera e vide una scena tremenda, decine di persone ammassate nei camion della polizia tedesca e tra questi, lui, proprio lui, il suo amato Mario che la guardava con aria tranquilla.

Lui, le mandò un bacio con la mano e lo vide sussurrare una parola che lei colse dalle labbra: Tornerò.

Ninni aveva 21 anni, aveva occhi neri e lunghi capelli castani.

 

Passarono i giorni e Ninni attendeva fiduciosa, si affacciava sempre dalla stessa finestra, convinta ogni volta di rivedere il suo Mario.

Iniziò a mangiare poco a dormire sempre meno e a trascorrere sempre più tempo affacciata alla stessa finestra. Le persone del quartiere la conoscevano e le volevano bene, ogni volta che passavano sotto la sua finestra la salutavano e le davano chiacchiera e lei cordialmente sorrideva e rispondeva a tutti.

Passarono gli anni e la guerra finì, ma di Mario nessuna traccia, i racconti dei superstiti lasciavano poche speranze, ma lei imperterrita, rimase lì alla finestra, in attesa del suo ritorno.

I suoi capelli diventarono grigi, i suoi occhi sempre più spenti, la sua bellezza svanì piano piano, ma la sua vita ormai era su quella finestra dove passava intere giornate in attesa di una promessa fatta tanti anni prima.

Intere generazioni le passarono sotto gli occhi, i genitori di una volta diventarono nonni, i bambini di allora genitori, ma niente e nessuno poteva distoglierla dalla sua attesa e dalla sua finestra.

 

La mattina del 16 ottobre 2003 la finestra di casa di Ninni non si aprì.

La portiera dello stabile, allarmata da tutti i vicini, si fece coraggio, prese la copia delle chiavi dell’appartamento di Ninni  e con il cuore in gola si avviò sulla rampa di scale.

 

Inserì le chiavi nella toppa e la porta si aprì immediatamente, la casa era avvolta nella penombra e nel silenzio.

 

 

-         Signora Ninni? – chiamò senza troppa convinzione

 

Avanzò lentamente .

Aprì delicatamente la porta del soggiorno, vi entrò.

Quello che vide la lasciò esterrefatta.

 

Ninni era seduta sulla poltrona, con in dosso il suo vestito piu bello, completamente truccata, la sua collana preferita al collo.

 

-         Signora! Mi ha fatto prendere uno spavento. Si sente bene?

 

Ninni non rispose.

La donna si avvicino, le posò una mano su una spalla e Ninni si accasciò sulla poltrona,  senza vita.

 

Riuscì a reprimere un urlo che le rimase in gola.

Si girò di scatto, pronta a precipitarsi per le scale in cerca di aiuto.

Arrivata alla porta si bloccò di colpo attratta da una luce proveniente dalla camera da letto.

Il cuore prese a batterle all’impazzata, fece velocemente i pochi metri che la separavano dalla porta della stanza e guardò dentro.

 

Un uomo anziano seduto sul letto con una scatola di vecchie fotografie sulle gambe, le mani tra i capelli, piangeva.

 

Mario era tornato.

 


 

Merda   - Latte di Capra

 

Merda è la prima cosa che mi è venuta in mente appena mi apparve innanzi il tuo volto da cherubino.
Riemergo, dopo averti vista, dalla merda più profonda.
Ti ronzo in tondo in questo centro commerciale ma non riesco a comunicare, ti annuso, mi cibo di te.
Merda,così mi fai sentire mi colpisci lo stomaco mi manca l'aria mi viene da vomitare...merda.
Mi butto su di te come una mosca.
Ti fermi ma io non riesco a parlare, merda non ho più la bocca, ma a te non sembra interessare, mi attendi con aria dolce e paziente , merda non riesco più a ragionare e i secondi sembrano ore.
"Dimmi.." m'incoraggi tu..
"scusa sai dirmi dov'è il bagno?"

 


 

Anja  - Pds

 

Oggi voglio proprio raccontarvi la mia giornata tipo: una giornata come tante, una donna come tante, un lavoro come tanti.
Sentite qui se ne avete voglia!
Sveglia alle 10:30, che fortuna direte voi, davvero una bella fortuna! non è da tutti alzarsi “con comodo” senza una sveglia che suona e che ti butta violentemente giù dal letto.
Ma andiamo avanti: doccia veloce, perché per una come me le docce non bastano mai, sì è vero ne ho fatta una anche ieri sera prima di coricarmi, ma in fondo è un piccolo lusso che mi concedo : almeno 3 o 4 docce al giorno, e Dio sa quante altre vorrei farmene!
Come tutte le mattine esco di casa e vado a fare un po’ di sport, ma non come molte di voi, palestra, tutina di marca all’ultima moda, scarpette morbide morbide per i vostri piedini di fata, e come farei a permettermi tutto questo?! Mi infilo semplicemente nella mia vecchia tuta, rammendata alla bene e meglio almeno 3 volte negli ultimi 2 mesi; sì è bruttina lo so, ma è l’unica cosa tra le migliaia che ho nel mio armadio nella quale mi sento davvero me stessa.
Lo sport consiste in una corsa frenetica sul bordo della strada che passa sotto casa, per fortuna non molto frequentata (almeno questa, e almeno a quest’ora del mattino!) Perché tutti sono nei loro uffici patinati, davanti ai loro pc, a correre tra una riunione e l’altra, occupati a lamentarsi di come la loro vita sia sempre uguale, beati loro con la loro vita sempre uguale…
Comincio a correre, correre, correre, correre, ma non certo per bruciare calorie, rassodare il mio corpo, affusolare le mie gambe, per fortuna (o per mia grande sfortuna) non ne ho bisogno, i miei muscoli sono perfettamente in tiro, il mio sedere è sodo, il mio seno sta in su e si sporge austero da ogni cosa che indosso: alcuni medici dicono che un’intensa attività sessuale fa bene al corpo (ironia della sorte!) . ma allora perché corro direte voi: corro perché voglio che il mio corpo sia pulito, i miei polmoni si riempiano di aria fresca, aria del mattino, e corro perché solo in quel momento riesco a liberare la mia testa, che è ancora piena di tutte le brutte cose che ho visto, e che dovrò vedere anche oggi.

Finita la mia corsa, me ne torno a casa, devo pur dare una rassettata al posto dove vivo, al mio rifugio fantastico, al mio nido, non ci metterò tanto:
30 metri quadri, ma c’è tutto quello che amo: ci sono le foto della mia famiglia ovunque, è l’unico modo che ho per non dimenticarmi di loro, c’è il poster di Jhon Taylor, ma non come è adesso (che orrore!), me lo sono portato in tutti i miei mille traslochi, ormai fa parte dell’arredamento, mi ricorda quando ero piccola, felice e sognavo la mia vita; c’è un vecchio armadio, un letto a 1 piazza, una coperta con i cuori di tutti i colori, una poltrona foderata di verde, e una piccola cucina.
…La cucina, è arrivata l’ora di mangiare, finalmente! Un piatto di pasta abbondante e veloce, e poi un po’ di riposo, questa corsa mi ha sfiancato! Un’oretta davanti alla tv per guardare il mio programma preferito, Uomini e Donne! Ogni tanto un po’ di frivolezza ci vuole, in questa vita d’inferno!
Le 4, un nuovo pomeriggio, giusto il tempo di fare un po’ di spesa, il minimo indispensabile come sempre, quasi quasi vado in quel nuovo discount che ha aperto, forse riesco a risparmiare un po’, in fondo tutto quello che risparmio può servire ad aumentare il piccolo gruzzolo che ho da parte, nascosto nello stesso posto da anni, dove mi ha insegnato mia nonna “lì nessuno può trovarlo, stai tranquilla, sarà il nostro piccolo segreto!”
Lo so che la strada è lunga per realizzare i miei sogni: aprire un centro estetico : potrei arredarlo in modo semplice ma accogliente, mi farei in 4, per i primi tempi farei tutto da sola, massaggi, depilazioni, pulizia del viso: piccoli prezzi per invogliare i clienti, tante storie da ascoltare, finalmente un lavoro, un vero lavoro!
Già il lavoro…!sono le 6 e comincia a salire la mia angoscia, come tutte le sere da 10 eterni anni: sono troppi anche 2 giorni di questa vita, figuriamoci 10 anni, beh, mi potrei prendere un giorno di ferie Ah AH AH AH, e chi glielo dice a quello stronzo che oggi non lavoro, e lui come fa senza di me, che sono il “pezzo forte della sua collezione” (me lo dice sempre) a guadagnare i suoi soldi di merda!
Speravo di non dovervelo dire cosa faccio, povera illusa, volevo parlarvi di me senza dirvi che tutte le sere io vado per la strada, a vendere il mio corpo, incontro uomini: vecchi, giovani, belli, brutti, alti e bassi, mori e biondi, pelosi e glabri.
Si avvicinano a me lungo il marciapiede, e io comincio a tremare, cerco di distogliere lo sguardo perché ho sempre pensato che fosse la cosa migliore se non vuoi attirare l’attenzione, ma qui non funziona, ti scelgono lo stesso, anche se una sera non mi trucco, anche se mi copro un po’ più del solito, anche se mi metto in un angolo un po’ più buio.
Eccolo si avvicina, il primo di una lunga serie stasera, una scena già vista: una bella macchina, con l’adesivo “bimbo a bordo” piazzato sul vetro dietro, lo stesso che ti hanno regalato, brutto viscido schifoso, quando sei entrato con tua moglie in un negozio per neonati, lei aveva un grosso pancione che si accarezzava dolcemente e insieme avete scelto un piccolo seggiolino sorridendo e guardandovi negli occhi: “ questo per il nostro piccolo bambino!”.
L’immagine di questo sedile e l’odore di questa macchina è l’ultima cosa che ricorderò fino a domattina: ogni sera quando entro nella prima macchina stacco completamente i miei pensieri, e vivo un’altra vita, mi allontano dal mio corpo, tanto qui non c’è bisogno di me, devo solo allargare le gambe e prendere i soldi.
Allora inizio l’altra parte della mia vita, quella in cui sono una donna normale, ho un marito e una bella casa, ho 2 bellissimi bambini ai quali tutte le mattine preparo la merenda, che ogni giorno accompagno a scuola, ai quali preparo il pranzo, faccio fare i compiti, rimbocco le coperte.
Ho un marito che mi ama, che mi telefona durante la giornata, che mi dice che non mi lascerà mai e che sono la sua luce, la sua gioia, la sua vita, che ama i nostri figli, che la domenica si sveglia con me e mi riempie di baci.

Alla fine della mia notte non so mai con esattezza quale sia la vita che ho vissuto, ma in fondo è sicuramente meglio così!


Che notte!   -  Campari

 

Non ci poteva ancora credere, dopo tanti pub, piccoli locali, feste private, finalmente era giunto il giorno, quella sera sarebbe stata la sua grande occasione , mettere la sua musica nel locale piu' famoso della citta.." the circle"... 1500 persone, la fila fuori per entrare, qualche velina, qualche calciatore ed anche i soliti buffoncelli di periferia.
Era tanto tempo che sognava una serata cosi', certo non avrebbe suonato nella sala principale, li mettevano solo musica che ti sfondava i timpani, potevi resistere solo con un paio di pasticche, ma lei la odiva quella musica e poi davanti a tutta quella gente sarebbe veramente morta. La sua era la sala piu' intima , spesso frequentata dalla solita gente, musica commerciale e revival, pubblico un po' grandicello. Ma alla fine tutti in quella sala ci facevano un salto , anche solo per qualche minuto, per curiosità , per dire ..puuaa che schifo... o per inseguire una bella ragazza vista fuori da un bagno, insomma l'avrebbero vista e sentita in tanti... e c'era da avere i brividi. Era arrivata al locale molto presto, a casa non resisteva piu', voleva dare un occhiata a tutta l'attrezzatura e poi aveva i crampi allo stomaco. A cena non era riuscita a mandare giu' niente, il pomeriggio era usicta prima dall'ufficio, dal suo vero lavoro, quello che detestava ma che le dava la possibilità di mangiare e di inseguire i suoi sogni, sperava di riuscire a fare un sonnellino pomeridiano...ma niente ... tutto il tempo a provaree riprovare i pezzi, aveva cambiato la scaletta migliaia di volte... era esausta.
La gente cominciò ad arrivare prima di mezzanotte... cazzo quella sera erano tanti, le serate cominciavano ad essere piu' calde, tutti avevano nuovamente voglia di uscire. La sala si era riempita in fretta , la musica era partita, i dischi giravano, insomma non se ne era neppure accorta e la paura aveva lasciato il passo alla voglia di divertirsi e alla goduria che provava alla vista di tutta quella gente che ballava la sua musica. C'erano voluti anche un paio di bicchieri della sua bibita preferita...campari e succo d'arancio.. ci volevano proprio.. per lasciarsi un po' andare ...ma ora basta, voleva godersi tutta la serata, le emozioni, le vibrazioni. Continuava a guardarsi intorno , c'erano tutti i suoi amici piu' cari, quella sera come tante altre erano li per lei, stava per mettere una delle loro canzoni preferite.. ...... ad un certo punto guardo alla sua destra... c'erano una decina di ragazzotti , massimo vent'anni... tutti fieri...convinti di poter spaccare il mondo, si chiedeva che cosa stessero facendo in quella sua sala...gia' immaginava i loro volti disgutati alla canzone che stava arrivando.. la musica parti... e accade quello che mai si sarebbe aspettata , cominciarono a ballare, saltare e cantare... si conoscevano anche loro quella vecchia canzone.. e allora abbasso il volume e senti' nitidamente anche le loro voci che cantavano...e saliro', saliro... aliro'... cazzo che notte!
 


Raccolta Punti   - Linux

Punti di vista come punti di fuga
Punti d’interesse
Punti in comune
Punti persi e Punti vinti
Punti oscuri e Punti chiari
Punti di riferimento
Punti Cardinali
Punti fermi o Punti di svolta
Punto erba, Punto croce
Punti spesi e Punti spesa
Facciamo il punto
Punto e basta?
…Punto e a capo!

 


Storia di Juan - nautilus   - Linux

Il nonno ed il piccolo Juanito camminavano da giorni. Erano stanchi e lontani dal villaggio. Inseguiti nella selva. Persi.
Lentamente, la luna si era alzata sulla montagna. Bassa. Così bassa da poterla toccare. Juanito stese il braccio, unì indici e pollici, quasi a volerla catturare mentre il nonno preparava il rifugio per la notte, lì sarebbero stati al sicuro. Dormirono abbracciati quella notte, abbracciati si svegliarono. Zaini in spalla, ripresero il cammino. Arrivati al fiume che correva lungo il loro villaggio il nonno tirò un sospirone.
Juanito con la testa all’insù gli tirò la giacca – che c’è, nonno? –
Siamo salvi, Juanito – rispose il nonno – siamo a casa –
Il piccolo strattonò di nuovo la giacca del nonno. Il suo sguardo si abbassò e vide Juanito con il palmo della mano aperto e pieno di sassi. Amava raccogliere sassi di ogni genere. Amava collezionarli. Non lo sapeva, ma aveva una passione.
Guarda nonno – disse con orgoglio – guarda quanti –
Il nonno carezzò la testa di Juanito e lo strinse a sé. Scesero verso il fiume tenendosi per mano. Mentre camminavano, Juanito si chinò e raccolse una conchiglia, un nautilus
– che sasso è questo ? – chiese al nonno, vedendolo diverso dagli altri.
Il nonno rispose che era una conchiglia e che le conchiglie si trovano nel mare.
Juanito lo fissò, con i suoi occhi neri come i capelli arruffati sulla fronte. Il suo sguardo curioso e miope lo inteneriva ancor di più. - e allora che ci fa qui una conchiglia? –
Il nonno rispose che forse si era persa come loro – Immagina di essere questa conchiglia – disse - vedi questi cerchi sono come la vita, che non è dritta come una strada che collega due villaggi, ma è circolare. La puoi salire e la puoi scendere oppure andare avanti e indietro, senza salire. Seguendo i cerchi –
Lo sguardo di Juanito si fece interessato.
- Ti piace
questo colore? -

- Sì, mi piace – rispose il piccolo
- Potresti cambiare idea in futuro – disse il nonno tenendolo sulle ginocchia - anche se a te piace questo colore, potresti cambiare idea e cambiarle colore oppure ci saranno altri che vorranno cambiarle colore e quello sarà il loro colore. Non quello vero. Sarà solo il loro colore o il tuo, il loro o il tuo modo di vedere. Se tu fossi questa conchiglia potrebbe succederti la stessa cosa. Potrebbero cambiarti colore – Juanito guardò con amore la sua conchiglia. Il nonno proseguì - Non importa quanti e quali colori ti daranno. L’importante è che tu sappia riconoscere il tuo colore. Quello vero. Il tuo! – la voce del nonno era calda e rassicurante – non spaventarti se ci vuole tempo. Vedi con le orecchie e senti con gli occhi. Guarda e ascolta. Lo troverai -
Juanito tenne
il nautilus sempre con se, nella sua collezione di sassi.

Juanito divenne Juan. Ci volle tempo prima di trovare il suo colore e riconoscerlo… prima di tirare fuori la sua conchiglia e raccontare la storia del nautilus a sua figlia.


Una favola moderna rimasta in fondo al cassetto   - Liz

C'era una volta una principessa di nome Shamsa.
Aveva
lunghi capelli biondi, un corpo sinuoso ed un sorriso dolce, così dolce da scaldarti il cuore.

Era famosa in tutto il suo regno per il colore dei suoi occhi, "come due laghetti di montagna", diceva la gente.
Il suo cuore però era spesso triste, nella sua vita una sola volta aveva provato la gioia di un vero Amore corrisposto ed ormai era finito da millenni.
Non che lei si nascondesse dal conoscere nuovi cavalieri o si lasciasse sfuggire l'occasione di amoreggiare con re o stallieri di passaggio e per questo si parlava di lei con leggerezza.
Ma forse ancora nessuno aveva mai capito che quello per lei era solo un diversivo, un paliativo per il suo cuore morbido in attesa di abbandonarsi all'amore.
In un giorno di sole e di vento
la principessa Shamsa uscì dal suo castello per passeggiare.
Il bosco magico era il luogo dove più le piaceva stare in compagnia di se stessa e persa nei suoi pensieri, avvolta dalle sue fantasie si ritrovò al centro del bosco dove era il famoso lago incantato e da lontano.... ... le parve di vedere una figura nuotare nelle acque dense.
Era la prima volta che incontrava anima viva nel bosco magico, le genti del luogo non si addentravano in quelle terre misteriose.
La principessa Shamsa non riuscì da subito a capire se quella figura potesse essere un uomo o una donna.
Allora si avvicinò silenziosa per curiosità di vedere meglio chi, come lei, fosse così coraggioso da addentrarsi in quel luogo di mistero.
Lo sconosciuto nuotando lentamente si avvicinò alla riva per poi sdraiarsi sull'erba vicino dove il suo elegante cavallo l'aspettava.
Ma forse quello sconosciuto era una donna, pensò Shamsa, certo con una capigliatura troppo corta per l'epoca.
Pur non essendo sicura di chi si trattasse la principessa si sentì stranamente attratta da quella figura, uno slancio dalla ragione incomprensibile la spinse ad alleggerirsi dei suoi abiti e dei suoi gioielli per essere meno riconoscibile quale principessa del regno di Freedomland.
Sciolse i capelli sulle spalle e a piedi nudi e vestita solo della sua candida sottoveste si avvicinò in silenzio.
Il pizzo sangallo lasciava intravedere le sue carni e dalla scollatura i suoi seni mostravano la loro vitalità.
Quando ormai era a solo tre passi da quella misteriosa donna, un rumore la tradì e in un sol balzo la misteriosa fu in piedi e nuda, con un corpo statuario, le si parò davanti.
Un Amazzone! La principessa non ne aveva mai conosciuta una personalmente, quelle non erano terre di amazzoni e poi loro difficilmente davano confidenza a chi non facesse parte del loro popolo.
L'Amazzone con un sorriso sincero, in silenzio, le diede il benvenuto.
Due occhi di brace, i seni modellati a misura, le gambe nervose e le mani eleganti.
Senza rompere il silenzio rimasero entrambe immerse l'una negli occhi dell'altra, tutto intorno era calma ma nel loro petto l'emozione gonfiava il respiro.
Pochi giorni prima l'Amazzone Araya, questo era il suo nome, era salita senza meta sul suo cavallo bianco chiazzato nero con l'unico scopo di andare lontano da una vita che le era stretta. Era giunta la lago incantato in cerca di pace e ristoro per il corpo e lo spirito.
Il suo cuore disidratato dall'indifferenza, calpestato da colpe non commesse cercava solo pace.
L'Amazzone Araya aveva perso i suoi confini di guerriera e nel cammino per ritrovare se stessa di certo no avrebbe voluto spettatori ne accompagnatori, ma mai nesuna sorpresa era stata così gradevole e la vita si , non segue i nostri progetti ma solo i suoi disegni.
Shamsa e Araya fecero ogniuna un passo verso l'altra ed erano così vicine da poter percepire il calore della loro pelle.
Senza fermarsi a pensare e senza sapere il nome l'una dell'altra si strinsero e l'emozione come un brivido le scosse.
Le loro labbra da prima si sfiorarono timidamente e poi, come due affamate insaziabili, si cercarono con ardore.
Gli occhi invisibili del bosco le spiarono e senza pudore, mano nella mano, si immersero nelle acque del lago magico, la passione le travolse e la gioia esplose.
Passarono giorni a darsi piacere e a bere sinto, la pozione d'erbe che libera la mente.
Percorsero viottoli e sentieri ma i sogni svanirono quando la luce della realtà illuminò il bosco.
Arrivarono le nubi e con loro la pioggia battente, i tuoni in lontananza annunciarono tempesta ed il vento soffiava forte scompigliando i pensieri.
La pioggia era così forte che sembrava non potessero più vedersi e il vento le spingeva lontane.
La principessa, ancora intimorita dall'ultima burrasca che aveva scosso il suo castello, ad occhi bassi, stretta nel suo mantello corse via in cerca di un riparo.
Si fermò in una grotta ai confini del bosco, li si sentiva protetta ma il freddo le squoteva le ossa e il buio le pesava sullo stomaco perchè l'Amazzone Araya era lontana ed il vento non dava sue notizie.

Araya vagava nella pioggia, confusa senza cercare riparo e salvezza per tutto ciò che di bello c'era stato.
Il suo fedele cavallo Lion era sempre con lei. Lui non l'avrebbe mai lasciata sola e per questo lei non gli lesinava il suo amore.
La burrasca continuava a scuotere il bosco e la pioggia cancellava ogni impronta sui sentieri.
Shamsa ormai prevedeva il loro destino, affidò le sue parole dal cuore alla magia delle foglie d'autunno perchè spinte dal vento potessero arrivare a toccare il cuore della sua amata amazzone.
Il mistero del bosco illuminò il sentiero che conduceva alla grotta dove la principessa attendeva in ansia.
Ritrovarono l'unione dei loro sguardi, si persero nei loro abbracci, si baciarono con il cuore e per pochi lunghi attimi nulla sembrava aver turbato il loro idillio. Ma Araya diede il suo annuncio, avrebbe lasciato il bosco e sarebbe tornata nelle sue terre.
Il disastro, un terremoto, tutto distrutto, sgretolato in un attimo.
Come può cambiare la realtà così repentineamente, dove era unione ed intesa, dove c'era complicità e confidenza in un battito di ciglia ogniuna per la sua strada.
Tutto il bosco all'unisono pianse con loro, lacrime e sangue, anche Leon alsò il suo dolore al cielo, e la luna gli fu testimone.
Araya sparì all'orizzonte e Shamsa tornò nel suo castello.
Allora la principessa prese il suo cuore, lo chiuse nello scrigno sacro, girò la clessidra delle grande madre, e disse a se stessa: "E' forse anche questo un fantasma d'amore o ciò che ho sentito e visto è verità sincera?"
Il cielo intorno al castello sembrava libero da nubi, ma un fulmine entrò nel castello e ruppe in mille pezzi la clessidra che vegliava sullo scrigno sacro.
La principessa Shamsa capì che quello era il segnale, non serviva dare il tempo al tempo, Araya ormai era troppo lontana.
Prima la rabbia e poi il grande dolore le intrise le viscere, distrusse la chiave dello scrigno dove il suo cuore era custodito perchè fosse al sicuro dai facili attacchi.
Si, ma la vita continua.....

 


Dài, rispondi...   - Poppy

“Credo che l’uomo abbia dentro di sé qualcosa di piccolo, fragile, tremante,
che ogni tanto ha bisogno di un po’ di cura, di un po’ di lacrime.
Banana Yoshimoto


Caro diario,
oggi sento un tale senso di solitudine e pesantezza insopportabili, tanto che ho pensato che forse scriverne mi avrebbe fatto stare meglio, sarebbe stato una sorta di sfogo, o forse mi sbaglio e scriverne non è altro che un modo di dargli ancora più importanza…
A volte mi sembra di impazzire e vorrei urlare, ma da sola, perché farlo davanti a qualcuno significherebbe anche sentirsi chiedere il perché, e io non saprei proprio che cosa rispondere…
Puoi rispondere che non lo sai, che lo fai perché hai sentito una canzone che ti ha tolto il fiato, che in quel momento ti sei sentita come se fossi fuori da te stessa e ti vedevi fare cose più sensate e dire cose più intelligenti di quelle che escono dalla tua stramaledetta boccaccia ogni santo giorno della tua misera vita?
Puoi rispondere che lo fai perché non sopporti di essere schiava continuamente delle prigioni di cui tu stessa possiedi le chiavi, perché cammini sempre con la testa china perché hai paura di andare a sbattere contro quello che potresti trovarti di fronte, che lo fai perché non sopporti il pensiero che la vita sia legata veramente ad un filo così sottile?
Puoi rispondere che lo fai perché ti senti continuamente osservato da te stesso come da uno spettatore annoiato da quel mediocre spettacolo che è la tua vita?

Puoi sempre risponderti…che non è vero…

 


 

About a girl   - Poppy

Si è soli con tutto ciò che si ama.
Novalis



Vivere non è una cosa semplice. Non è una di quelle cose che puoi fare con leggerezza, come cucinarti un piatto di pasta e mangiarlo e digerirlo e non pensarci più. E questo Nina lo sapeva bene.
Lo sapeva talmente bene che non smetteva mai di pensare.
Lo sapeva sin da quando era bambina, quando la notte non riusciva a prendere sonno perdendosi in quei pensieri senza fine, come l’infinità del cielo, la consistenza delle nuvole o di come sarebbe stato il mondo di lì a trent’anni…
E lo sapeva in questo momento, mentre il suo sguardo era perso nell’orizzonte di quel mare invernale, nella schiuma delle onde che si infrangevano tra gli scogli di quel selvaggio litorale romano.
Amava andare sola in spiaggia, e abbandonarsi a tutti quei pensieri…recuperare dalla memoria cose pensate tanto tempo prima e mai dimenticate del tutto…
Quando era piccola amava pensare che un giorno avrebbe iniziato a prendersi cura dei bambini della strada, zingari, extra-comunitari, poveri…li avrebbe presi e portati a casa, quei piccoli cagnolini randagi…li avrebbe messi dentro la vasca da bagno e lavati con acqua bollente e sapone, tanto sapone, li avrebbe sfregati fino a fargli arrossare la pelle, gli avrebbe messo dei vestiti caldi e puliti, li avrebbe fatti mangiare e li avrebbe infilati dentro un letto caldo, e li avrebbe osservati addormentarsi accarezzando i loro sottili capelli e raccontando qualche fiaba, chè il linguaggio delle favole è lo stesso in qualsiasi lingua…
A questo pensava quel mattino mentre era su quella spiaggia, mentre la sabbia portata dal vento scricchiolava sotto i suoi denti, e non potè fare a meno di sorridere e sentirsi scaldata a quel pensiero…e all’idea che un giorno l’avrebbe realizzato.
La guardo allontanarsi mentre le leggere tende della mia finestra ballano la musica del vento…

 


 

De Felicitate   - Pds

 

Ho sempre pensato che in ogni cosa i due estremi si assomigliassero, così l’estremo punto dell’est del mondo è in fondo lo stesso punto in cui inizia l’ovest; un gesto di estrema giustizia per uno, può essere un grande sopruso verso un altro uomo, così per molti nella morte inizia una nuova vita, così si fa la guerra per portare la pace (…ci dicono!)
Est e ovest, giustizia e ingiustizia, vita e morte, guerra e pace.
…così mi sono accorta che la felicità può fare male.
Fa male quando pensi, perché io?
Perché qualcuno ha deciso di dare a me, proprio a me tanta felicità, e per giunta per così tanto tempo?
E allora il primo pensiero è che in un momento, un giorno vicino (forse tanto vicino), la mia dose finirà, sì perché ognuno ha la sua dose di felicità…e allora come finirà?
Finirà che dovrò scontare tutta questa gioia, questi sorrisi, questi momenti in cui il cuore si gonfia e ti sembra di essere leggero, e di essere sopra il mondo.
Finirà che un giorno mi troverò a guardare indietro e a dire: “forse dovevo stare più attenta, forse non dovevo abusare della mia dose, dovevo diluirla in poche gocce per volta nel mio breve, piccolo calice della vita”.
Beh, è facile a dirsi, ma non ci riesco, perché la felicità è come una musica travolgente, che ti fa ballare finchè non cadi a terra stremata, è una risata a crepapelle, che ti fa continuare finchè non ti vengono le lacrime, è come un bicchiere di buon vino, che non smetti di bere finchè non finisce!
Voglio fare qualcosa per mandare via questa paura, per non sorprendermi più a pensare quale terribile morte mi aspetta, quali atroci sofferenze ci sono per me dietro l’angolo, per non dover immaginare più scene strazianti che mi segneranno per sempre.

E allora adesso mi piace pensare che in fondo io tutta questa felicità me la merito, almeno e solo perché ho imparato ad apprezzarla, a riconoscerla, perché tutto quello che ho mi basta, perché lo tengo come un tesoro, perché lo vivo come un dono.
 


 

Poesia impressionista   - Linux

 

Aoooo*...
mbè??
...m'hai messo paura!


* per la versione censurata chiamare 0800jack*** ore pasti
ci scusiamo se chi l'ha letta si è offeso

 


 

Illusioni   - Tony Brando

 

<< Il mio numero te lo , ma non farti illusioni!>>
Fu questa la risposta di Claudia a Marco. Era appena finita l'ora di aerobica e a Roma quel pomeriggio faceva caldo. Claudia e Marco anche se era un po' di tempo che si salutavano non si erano mai parlati. << Hai la maglietta come la mia!>> le disse Marco quando vide che lei indossava la sua stessa maglietta rossa con un toro stampato, ricordo di un viaggio in Spagna. Marco era proprio insicuro di ; non si poteva certo dire che gli mancasse qualcosa, anzi: altezza media, robusto, un bel sorriso, insomma un ragazzo carino; chissà perchè, ogni volta che voleva abbordare una ragazza che gli piaceva si bloccava. Ma quella volta si disse: << Dai Marco, datti una mossa, non fartela scappare, chiedile il numero!>> Salì le scale che lo portavano fuori della palestra e si mise ad aspettarla, ancora sudato, finchè lei non arrivò. << Che ci fai qui tutto sudato?>>, << Sai, ti aspettavo...starei per chiederti il numero di telefono....ti va una pizza domani sera?>>
La sera successiva Marco passò a prendere Claudia con
la sua Seicento rossa. Claudia era mora, capelli ricci, non troppo alta, un bel nasino all'insù e bocca carnosa, insomma era molto carina. La conversazione fu piacevole per entrambi. Marco alla fine si sciolse, anche grazie a Claudia, che scherzava continuamente così come stava facendo lui. Oltre che bella, Claudia si stava rivelando inaspettatamente simpatica e Marco si accorse che la sua R arrotata era terribilmente sensuale. Andarono subito dopo cena al Gianicolo. Con lo sfondo di Roma dietro di loro i due ragazzi si guardarono e Marco disse:<< Quando sto con te quasi mi blocco...è come se non riesco a... ecco...adesso vorrei tanto darti un bacio...>> Claudia non disse nulla e Marco la baciò con tutta la passione di un ragazzo di 26 anni non troppo sicuro di e non troppo esperto in fatto d'amore. Claudia gli disse:<< Andiamo da me...>> Claudia aveva 20 anni e studiava Lettere Moderne alla Sapienza; aveva un appartamentino in affitto e la sua coinquilina era tornata a Salerno per il fine settimana. Claudia e Marco fecero l'amore tutta la notte e fu bellissimo per entrambi.
Quando il giorno dopo Marco si svegliò e si trovò da solo nel suo letto, nella sua camera, nella casa dove abitava coi genitori, capì di aver purtroppo soltanto sognato. Si lavò, si vestì, prese la borsa e andò in palestra. Finito l'allenamento, fatta la doccia, uscendo dalla palestra una bellissima ragazza mora gli si presentò davanti. <<Ciao, sono Claudia>> gli disse << Ti ho visto in palestra e se ti va di scambiarci i numeri di cellulare, magari una sera possiamo uscire....che dici?>> A quella domanda così coraggiosa Marco con aria ebete rispose:<< Il mio numero te lo , ma non farti illusioni....>>

 


 

L'uomo della tua vita   - Linux

 

“L’uomo della tua vita scende alla prossima fermata”
e mentre si allontanava
alzò lo sguardo per leggere...“Deposito”
 


 

Un modo per scusarsi    - Zia Franka

In una mattina fredda di marzo, un uomo entra in un’agenzia della Banca di Roma.
È teso, nervoso arrabbiato-ato-ato
Un paio di giorni prima uno sportello bancomat gli ha risucchiato la carta e non ha voluto sentire spiegazioni:
LA SUA CARTA E’ SCADUTA, CONTATTI LA SUA BANCA!
Era rimasto 4 minuti fermo, a guardare quella scritta luminosa azzurrognola che non lasciava spazio a ripensamenti alla speranza…
non c’è nessuno in fila allo sportello, peccato, un po’ di fila sarebbe servita a fargli sbollire l’incazzatura.
- Dica, dice il cassiere
“dica un cazzo” pensa l’uomo, ma riesce a controllarsi e spiega:
- ieri uno sportello bancomat mi ha rapito la carta
- vada a parlare con la ragazza nella stanza di fronte
Vado…
La ragazza è impegnata in una conversazione con un tale che fa si si con la testa e ha un mazzo di fogli nelle mani, poi firma un documento, si alza e se ne va…
Nel frattempo l’incazzatura s’è sbollita ed ha lasciato il posto ad una calma artificiale, diplomatica, consapevole.
La ragazza è bionda, due occhi celesti piccoli come due bottoni, un corpo magro e longilineo, indossa due stivali neri lunghi e una gonna chiara…intrigante…
L’uomo si siede e spiega quanto è successo in maniera educata e sottolinea che non è la prima volta…comprende i problemi tecnici, le macchine ecc. ma che è la terza volta in un anno che succede…
Sul volto della ragazza si accende la luce…
- “SIIII, ho cercato di contattarla ma lei non rispondeva. Martedì le ho dovuto bloccare la carta bancomat. tutta contenta.
L’uomo la guarda negli occhi, con l’odio che sale come il termometro a ferragosto, frugando nel piumino alla ricerca di un oggetto contundente da tirarle in faccia e spegnere quel sorriso ebete…
La ragazza prende un foglio di un tabulato, lo mostra all'uomo ed esclama:
- la direzione centrale ci ha comunicato che sulla sua carta ci sono stati dei tentativi di clonazione, per evitare dei problemi alla banca e a lei ho dovuto bloccare il bancomat immediatamente.
L’uomo, che intanto aveva trovato un bullone di ferro da 15cm, che da li a pochi secondi si sarebbe conficcato violentemente tra gli occhi della ragazza, resta di sasso.
Pensa: "mo mche cacchio ci faccio sto bullone?"
Balbetta un paio di cose e poi dice:
- ma adesso? Me lo ridate nuovo il bancomat?
- certo, adesso le la carta nuova, attenda un minuto e arrivo.
Dopo dieci minuti di orologio , l’uomo è fuori dalla banca, con una carta bancomat nuova fiammante, felice come un bambino con un giocattolo nuovo, innamorato perso della fanciulla alla quale pochi istanti prima stava per avvitare un bullone tra gli occhi…
È così la vita…
… il Signore dà… il Signore prende
Proprio come un Bancomat!
 


 

Dimensioni    - Moon

 

Pensare che la nostra dimensione sia quella in cui tutti i giorni ci svegliamo, mangiamo, ci relazioniamo con gli altri sia l’unica possibile oltre quella “sconosciuta” della morte, non mi soddisfa pienamente. Non solo perché me la sentirei un po’ stretta, ma anche perché sono certa che molte altre sono le dimensioni in cui viviamo ogni giorno, solo che la nostra mente non riesce a percepirle in modo nitido perché non tangibili e perché si rischierebbe di essere considerati folli…..
Ebbene voglio rischiare…in fondo se non ci si espone un po’ con gli amici con chi si può fare?
Vi confesso che oltre alla certezza assoluta di una mia vita precedente in cui sono stata un pesce (i corsi e ricorsi storici …..), ogni mattina quando mi sveglio avverto in modo così reale il salto di dimensione che alle volte rimango “appesa” per l’intera giornata e saltello in questi diversi mondi….certo direte voi: dal sonno passi alla veglia, eh no, non è solo questo.
A volte sono dei salti in dimensioni bellissime….dove è possibile respirare sott’acqua…volare…vedere cose mai viste….sentire parti del corpo mai percepite….a volte purtroppo le sensazioni sono molto brutte (il rovescio della medaglia).
Lo sguardo fisso nel vuoto con una paralisi nei movimenti sono la chiave di accesso alla nuova dimensione, nella frazione di pochi secondi un bombardamento di sensazioni mi fa vivere nuove esperienze senza che mi debba allontanare dal luogo in cui mi trovo, un viaggio così veloce e così intenso da sembrare interminabile.
Ebbene sì….l’ho detto, ora però non guardatemi in modo diverso, non mi date sempre ragione (anche se la cosa potrebbe essere piacevole), e soprattutto, non cercate di osservare i miei movimenti in attesa di notare qualcosa di strano….
Sarei però molto felice di sapere che c’è qualcuno tra voi, o qualcuno tra i vostri conoscenti, che vive le stesse cose….ci si potrebbe incontrare in una dimensione nuova….. così, tanto per non sentirsi soli……

 


 

I miei amici-nemici    - Wilma

 

Un sogno…
La capacità di sognare
la paura di sognare
Capacità che non tutti hanno e che rappresenta un privilegio
Paura di aprire gli occhi e rendersi conto che era solo un sogno
Sogni che possono diventare incubi
Sogni che possono diventare una meravigliosa realtà
Vivere la vita con l’entusiasmo di un bambino e il pensiero di un adulto
Continuando a sognare
Sogni di gloria…sogni d’amore…sogni di successo…sogni ad occhi aperti
Questi sogni sono i miei amici che mi aiutano a vivere
Ma sono anche i miei nemici che temo quando tutto intorno a me mi dice di non sognare

Ma non potrei mai fare a meno di loro
Non potrei mai fare a meno dei miei amici-nemici
 


 

Vendetta personale   - Tony Brando

Fat Boy se ne stava sdraiato a guardare il cielo. Era appena smontato da
cavallo per farlo riposare, altrimenti sarebbe morto, lasciandolo in balia
degli avvoltoi, e si apprestava a continuare la sua caccia.
Fat Boy aveva quarant'anni, occhi blu, alto sei piedi; non si radeva da
due settimane ed era sulle tracce di Nameless, un bandito che aveva ucciso
sua moglie Molly e sua figlia Jane. Nonostante il nome, Fat Boy, non pesava
più di centoventi libbre
.

Fat Boy aveva servito gli stati confederati durante la Guerra di Secessione
ed era quello che si dice un classico uomo del Sud. Si trovava a poche miglia
da Atlanta, Georgia e sapeva che di lì a poco avrebbe raggiunto il suo nemico
senza nome.
Nameless era ricercato in molti Stati del Sud; tra i suoi reati: furto di
bestiame, incendio, omicidio e stupro. Già una volta era riuscito a fuggire
dalla prigione di Tucson, colpa di un secondino ubriaco.
Fat Boy stava controllando che tutto nel suo revolver Remington, pistola
della fanteria sudista, fosse a posto. Una volta a cavallo, dirigendosi
verso Atlanta, si mise a pensare a Molly e ai tanti baci e carezze che si
erano scambiati. Sua figlia Jane aveva dieci anni quando Fat Boy la ritrovò
in un mare di sangue, col vestitino strappato dopo essere stata evidentemente
deflorata e sodomizzata da quel pazzo sanguinario di Nameless; la fattoria
di Fat Boy era stata ovviamente incendiata...Fat Boy era un uomo tranquillo,
ma nulla l'avrebbe fermato dall'avere la sua vendetta personale.
Era ormai da tempo sulle sue tracce e Fat Boy sapeva molto sul conto del
bandito senza nome; sapeva per certo che una volta ad Atlanta, Nameless
si sarebbe recato da Burning Lips, la sua puttana preferita, tenutaria di
una "casa" proprio nella capitale della Georgia. Il suo odio per quell'uomo
cresceva ad ogni yarda che percorreva in direzione del suo nemico, in direzione
della sua vendetta, in direzione della sua salvezza.
Faceva caldo quel giorno di agosto del milleottocentosettantuno e per strada
e nell'aria c'era polvere, così come un forte ed acre puzzo di sudore.
Trovata la "casa" di Burning Lips, Fat Boy entrò con la furia di un pazzo.
Alcune donnine gli si presentarono incontro, ma lui non sentì nemmeno cosa
gli stavano dicendo. Con l'odio che può provare solo un uomo al quale hanno
assassinato moglie e figlia ed incendiato la casa, Fat Boy iniziò ad aprire
alla rinfusa le porte di ogni stanza del bordello di Burning Lips. Al quarto
tentativo, trovò al centro della stanza un uomo immerso in una vasca da
bagno ed una donna dagli improbabili capelli rosa intenta ad aiutarlo. La
donna era Burning Lips e l'uomo era lui, Nameless, il bandito senza nome.
Non appena Fat Boy entrò nella stanza, pistola in pugno, Nameless capì che
stava per suonare la sua ultima ora, sebbene non sapesse e non avrebbe mai
saputo, chi fosse il suo giustiziere.
Nameless tentò di afferrare
la sua Colt Navy, ma era troppo tardi ormai;
tra le urla di terrore della baldracca dai capelli rosa, da due metri di
distanza Fat Boy esplose tutti i sei colpi a disposizione sua e della sua
Remington. Un'atmosfera irreale accompagnò l'uscita di Fat Boy dal casino
di Burning Lips. Clienti impauriti che correvano nudi senza meta, puttane
che urlavano e piangevano senza sapere perchè
.

Fat Boy montò a cavallo, conscio di aver fatto una cosa deplorevole ma necessaria.
Se ne andò verso il sole con un mezzo sorriso stampato sul volto sudato.
Nessuno gli avrebbe mai ridato moglie, figlia e fattoria, ma Fat Boy aveva
così avuto la sua vendetta personale.
 


 

TV nel cielo -  Fox

La casa si trovava proprio dietro al cimitero. Era uno di quei palazzi tipici nella varietà delle costruzioni della città; lontana dalle ville delle zone residenziali, dalle case coloniali fatiscenti e dai colori sbiaditi che animavano il Vedado. Semplicemente era uno di quegli edifici stile prefabbricato, squadrato, dalle finestre lunghe, con l’intonaco giallo quasi scomparso a mostrare il muro, nudo nella sua essenziale staticità.
Era lì, in una strada rovinata, come molte altre del resto; l’asfalto mangiato dal tempo e dall’usura reclamava una manutenzione che chissà quando sarebbe arrivata. Poche macchine dai colori impossibili parcheggiate ai lati: viola, turchese, giallo… un arcobaleno a quattro ruote frutto di riparazioni successive, di materiale rimediato, d’improvvisazione e fantasia tipiche cubane. Le stesse che, in pieno periodo speciale ed unite alla necessità, avevano trasformato la strada da senso unico a doppio senso di marcia. E sì, perché diversamente uno dei residenti, tra i pochi ad avere l’opportunità di utilizzare una macchina, avrebbe dovuto percorrere il giro dell’isolato per rientrare tutte le volte a casa; ma quando non è possibile trovare la benzina nemmeno al mercato nero, anche solo cento metri diventano vitali. Così un giorno, in piena notte, si era alzato, era uscito in strada ed aveva rimosso il palo del senso unico. In questo modo nessuno lo avrebbe potuto multare ed avrebbe risparmiato litri di preziosa benzina. Il periodo speciale era finito da sei anni.
Scesero dalla macchina e mentre l’autista faceva manovra salirono i pochi gradini che separavano la strada dal portone d’ingresso. Gabriel allungò il braccio sporgendosi verso la finestra del piano terra e picchiò con decisione sul vetro. Un paio di colpi. Dall’interno si levò l’abbaiare nervoso di un cane e dopo pochi secondi il portone si aprì. Poteva avere 40 anni, forse qualcuno in più; viso rotondo incorniciato da capelli castani, carnagione chiara. Non molto alta e abbondante nelle forme; nel complesso non proprio quella che si definirebbe una bella donna, ma piacevole. Dietro di lei un bassotto abbaiava senza darsi pace, avanzando e arretrando in continuazione di pochi centimetri: un attacco iniziato e mai completato; la tromba delle scale ampliava il rumore creando l’effetto di un canile i cui ospiti abbiano deciso tutti insieme di dimostrare la loro esistenza in vita!
- “C’è Josè?” -
- “Sì, entrate vi sta aspettando” -
Lo avevano chiamato alcuni giorni prima per combinare l’incontro: antenna satellitare per una casa particular. “D’accordo” si erano sentiti rispondere, “mi faccio sentire quando sarà disponibile il decoder”. La telefonata di conferma era arrivata dopo nemmeno una settimana; erano stati fortunati; nel mare del commercio della città, era arrivato un decoder di quelli ultima generazione: prezzo 400 dollari. Questo almeno gli aveva raccontato Josè. Gabriel e Mark non ne erano tanto convinti, forse era lì da qualche tempo e per questo avrebbero potuto spuntare un prezzo inferiore. Ma in una città dove era difficile avere la certezza anche solo di quello che accadeva davanti ai propri occhi, dove nei racconti la fantasia e la realtà erano sapientemente manipolate e mescolate, era quasi più piacevole lasciarsi andare all’illusione dell’affare che far cadere il velo del mondo sospeso nel tempo e nello spazio. Josè era lì, che ondeggiava sulla sedia a dondolo di fronte a loro, con gli occhi semi chiusi; le sue parole quasi mormorate, difficili da afferrare, erano come una voce fuori campo che li accompagnava nel viaggio.
Decisero con uno sguardo che si poteva fare.
“Va bene” disse Gabriel, mentre cercava di accarezzare il cane che in tutto questo tempo aveva continuato ad abbaiare, avvicinandosi però sempre di più alla ricerca di una carezza. “Strano modo di chiedere”, aveva pensato Mark, ma in fondo non fanno così anche gli esseri umani? Si avvicinano e chiedono, mantenendo le distanze, quasi attaccando, invece di mostrare disponibilità. Per cosa poi? Per difendersi, per paura di abbassare la guardia, di lasciar entrare nel proprio mondo l’altro, ritrovandosi alla fine più soli che prima, perché hanno perso un’altra possibilità.
Josè nel frattempo parlava; era passato a descrivere l’abbonamento e la possibilità che dava di vedere un lungo elenco di canali che trasmettevano di tutto: da come si monta un pavimento alla biografia di personaggi famosi. Non lo ascoltava quasi più; una volta accettato il prezzo i dettagli non lo interessavano ed aveva lasciato il compito a Gabriel di seguire la conversazione, attento solo a captare se era interpellato o se era giunto il momento di congedarsi. Si accordarono alla fine per rimandare il tutto, prezzo finale e saldo definitivo della somma, a quando l’impianto sarebbe stato montato. Lasciarono un anticipo.
Uscirono dall’appartamento con ancora il bassotto che abbaiava, ma questa volta attaccato alle gambe di Gabriel, reclamando perché cessavano le carezze. Mark pensò di nuovo agli esseri umani. La macchina ripartì lentamente, questa volta nel senso giusto di marcia, svoltò l’angolo e si immise nel traffico della 23. Il sole era alto e riempiva tutto di luce. La radio trasmetteva allegria al ritmo di musica; in fondo alla discesa, tra le file di palazzi, la macchia azzurra del mare si perdeva all’orizzonte fino su, nel cielo.
 


 

Una notte stellata   - Zia Franka

 

Una notte d’estate piena di stelle, Ajobar è sulla terrazza del palazzo degli dei.
E’ affascinato da quella miriade di piccoli puntini luminosi che riempiono il cielo.
La luna è pigra e l’oscurità mette in risalto la via lattea, che sembra una scia di schiuma
bianca sul mare.
Zeus lo scruta da lontano e piano gli si avvicina e gli appoggia una mano sulla spalla.
Ajobar si volta verso il re degli dei e fa un sorriso, poi esclama:

- quante sono le stelle?
- Le stelle non si possono contare, sono come i granelli di sabbia
- Ma tu sei il re degli dei, ti basta uno sguardo per contarle
- Hai ragione, ma le stelle non sono sempre le stesse, ogni notte alcune di loro si allontanano dal cielo e cadono verso l’infinito

In quel momento una stella cadente passa di fronte all’orizzonte lasciando una scia luminosa che dura pochi istanti e poi svanisce nel buio della notte.

- quella stella dov’è andata, Zeus?
- Quella era Ade, sposa di Prometeo. Il suo compagno si è perso nella costellazione di Andromeda. Il suo dispiacere è stato talmente forte che si è lasciata cadere nell’infinito.

Un’altra stella sfreccia nel cielo e poi un’altra ancora…

- E quella?
- Quella è Vega, ha perso le sue compagne Deneb e Altair e si è lanciata in una corsa interminabile per ritrovarle
- Ma sono tante! Ogni notte molte stelle passano veloci nel cielo
- Si, caro Ajobar. Tu sei giovane e nella tua vita chissà quante ne vedrai!
- Ma non si può fare niente per fermare la loro caduta?

- Purtroppo no!
- Ma perché? Ci deve essere un modo per fermarle.
- No, caro Ajobar…le stelle cadenti non si possono fermare.
Servono a far avverare i sogni degli uomini.
 


 

Quello che vorrei   - Tony Brando

 

quello che vorrei è una vita serena
quello che vorrei è amare e essere amato
quello che vorrei è non morire mai o almeno rimanere giovane
quello che vorrei è una donna per tutta la vita
quello che vorrei è un figlio
quello che vorrei è un bel lavoro
quello che vorrei è finire l'università
quello che vorrei è essere sempre allegro
quello che vorrei è un bel fisico
quello che vorrei è viaggiare
quello che vorrei è non aver paura
quello che vorrei è volermi più bene
quello che vorrei è essere più sicuro di me
quello che vorrei è essere più buono
quello che vorrei è essere più cattivo
quello che vorrei è la stima degli altri
quello che vorrei è non aver nemici
quello che vorrei è incontrare un'altra volta alcune persone che ho perso
quello che vorrei è saper scrivere canzoni
quello che vorrei è lo scudetto della roma
quello che vorrei non è berlusconi
quello che vorrei è stare al mare
quello che vorrei è stare nudo sotto la pioggia
quello che vorrei è affrontare la vita con la spensieratezza di un quindicenne
quello che vorrei è tornare indietro ed evitare gli errori fatti
quello che vorrei è la serenità per me e la mia famiglia
quello che vorrei è un mondo con la pace
quello che vorrei è una figlia
quello che vorrei è trascorrere una vecchiaia in salute
quello che vorrei è essere alto biondo e con gli occhi azzurri
quello che vorrei è una bella casa tutta mia e della mia Lei
quello che vorrei è essere meno "pesante"
quello che vorrei è essere più altruista
quello che vorrei è avere più fiducia in me stesso
quello che vorrei è essere più egoista
quello che vorrei è poter fare delle cose per gli altri
quello che vorrei è passare più tempo con Lei
quello che vorrei è baciarLa, baciarLa, baciarLa
quello che vorrei è cantare più spesso
quello che vorrei è continuare a stupirmi
quello che vorrei è mantenere le promesse
quello che vorrei è poter progettare il mio futuro
quello che vorrei è essere meno passionale
quello che vorrei è essere in gamba, capace e pieno di talento
quello che vorrei è essere come sono
quello che vorrei, e che ho, è Lei.
 


 

VC   - Linux

 

Fuggo da me venitemi a cercare sono sul paiolo della vita dove il sole passa sotto sotto e mi sveglio ogni giorno senza male e senza dolor a vedere quella zingara che ha finito i baci e solo vetri riesce a pulir se parlo poi mi sgolo e sul pensiero poi volo verso un sogno fatto di vetrine di appartamenti di multe di ferie in agosto di bolli di rendere per credere di parole taciute abbracciate ad aspettare la sera illuminata come una sigaretta fumata sul letto di ricordi persi al vento alla sua musica alla luna al suo destino a voi che leggete attenti al tempo e al sudore che non si può cambiare e allora baciate il collo del piede per ballar alla faccia della miseria lontana dal bar dalla cucina dal corvo sempre all'erta tra ragazzi di quartiere che non volano tremano gelano fumano vedono coriandoli a saltare stelle lune ombre di chi è già scappato senza guardarti negli occhi per paura di conoscerti sulla carta fatta per leggere piano il destino speranza e vanità da sfogliare ammalato di dubbi e libertà di amore e musica treni che partono senz'arrivo perche non sei salito partono ogni ora ma non partiamo noi aspettiamo indugiamo ci penserò domani c'ho sogni più veri e gonfi di desideri. Non è l'amore che va via...l'ultimo sogno si sveglia e tace non ha più da pensar, così si piace!

 


 

Tra il sogno e la realtà  - Nisa

 

Un raggio di tiepido sole di una giornata di metà aprile, ancora troppo fredda, riflette sul finestrino dell’auto e batte lateralmente sul suo viso. Quel tepore concilia così bene il suo dolce sonnecchiare. Adora dormire in macchina mentre viaggia, le è sempre piaciuto, da quando era bambina. Si assopisce, si riprende ma indugia ancora nel dormiveglia.
Lui è accanto a lei, e ciò quasi non sembra vero, dopo tanti lunghi mesi...di nuovo insieme e per la prima volta in viaggio. E in quello strano confine tra il sonno profondo e il dormiveglia inizia a sognare e sogna la realtà di dormire in macchina accanto a lui che guida.
Lei ha gli occhi chiusi, non lo vede ma sa che è lui. Sogna di volerlo tanto rivedere, di voler tanto riguardare ancora il suo viso che non riesce più a visualizzare chiaramente, il tempo ha cancellato il ricordo di lui nella sua mente. I suoi occhi celesti, il suo naso perfetto, la sua bocca carnosa sono confusi come pezzi di un puzzle scomposto. E’ passato troppo tempo!
Ma riconosce il suo profumo, BLU di Bulgari. Quante volte entrando in profumeria se ne spruzzava un po’ sui polsi per ricordarsi di lui e provare quella triste e dolce sensazione di nostalgia che le attanagliava lo stomaco. E poi riconosce la sua voce, il suo accento inconfondibile che tanto le è mancato. Lui parla al telefono, troppo a lungo come sempre, e intanto le accarezza i capelli.

La sua mano grande ma leggera, la sua voce così matura rispetto alla sua età, il suo profumo così dolce le fanno venire voglia di risvegliarsi e di tornare alla realtà.
Apre gli occhi, davanti a se la finestra e non il finestrino, è sdraiata sul letto e non su un sedile, accanto solo il telefonino che vibra per un sms appena ricevuto, è lui, c’è sempre...ma ancora nel virtuale e non nel reale.
 


 

Pensieri e parole  - Ramon

 

pensieri e parole,
due mondi lontanissimi.
pensieri che vanno e vengono, si rincorrono e si accavallano, mutano e si dissolvono..
parole sempre troppo lente, incomplete, non vere, pesate, premeditate, legate..
parole che devono mettere insieme in una frazione di secondo mille pensieri che ci hanno squarciato la mente, che ci hanno fatto venire certezze e dubbi in un tempo talmente breve che non si può contare.. e parole che devono dare la sentenza, perchè sono loro che traghettano gli "tsunami" della mente al mondo esterno.
a volte placide, a volte irruente, sussurrate, urlate a squarciagola, piene di odio e di gioia e di felicità e di falsità.
contate quante parole sono riuscito a scrivere...
moltiplicate ognuna di loro per un milione e saprete quante ne ho abortite nella mia mente.

 


 

La Banda degli infami - II parte   - Whittard

 

Marco Gerbaldi lavorava nell’ufficio postale di Via Po da due settimane.
Aveva accettato immediatamente la proposta che gli era stata fatta da Mioni, l’anziano dirigente: lasciare l’archivio buio e polveroso della sede centrale di Piazza S. Silvestro per occuparsi del servizio pensioni della nuova filiale.
Il lavoro non era il massimo, sempre a contare soldi e registrare su libretti ingialliti gli importi delle pensioni, sempre le stesse domande e le stesse richieste delle persone anziane che ritiravano i soldi.
Una persona, poi un’altra, un’altra ancora…

Ma il 15 dicembre 1974 alle 11,27 la sorpresa fu totale.

- Buongiorno.
- Ciao faccia di merda, come andiamo oggi?
- Mi scusi?
L’uomo che aveva di fronte non aveva l’aria del mite pensionato che era solito trovarsi davanti.
Anzi era giovane, dall’aria truce e le parole che gli rivolgeva erano alquanto offensive.
- Sono venuto a ritirare la pensione, non riconosci nonno? Me la dai una mano… Stronzetto?
Marco ebbe un attimo di esitazione, l’uomo davanti a lui tirò fuori qualcosa da sotto la giacca e violentemente la scagliò sul bancone. L’ascia si conficcò nel legno tenero del bancone tranciando di netto la mano destra di Marco che inorridito cadde in ginocchio ed iniziò ad urlare inorridito.

Tremolina saltò immediatamente sul bancone:
- Allora facce di merda, se non volete essere fatti a pezzi vi consiglio di sdraiarvi per terra e di non aprire le vostre boccacce. O c’è qualcun altro che vuole darmi una mano??? AHH AHH AHHH….

Nel frattempo Il Pazzo e Pancia, pistole in pugno avevano iniziato a farsi consegnare i soldi dagli impiegati.
Marco in ginocchio dietro al bancone continuava ad urlare.

- Fai
stare zitto quello stronzo! Gridò il Pazzo rivolto a Tremolina.
- Chiudigli
quella boccaccia, ci sentono dalla strada. – replicò Pancia.


Tremolina sferrò un calcio violentissimo sul viso di Marco, che cadde a terra in una pozza di sangue.
Iniziò a gridare ancora più forte.
- Porca puttana, fallo stare zitto! – urlò il Pancia.

Vista
l’esitazione di Tremolina, il Pazzo fece il giro del bancone, liberò l’ascia conficcata nel legno e si portò davanti a Marco che continuava a strillare.


- Vediamo se adesso stai zitto.
L’ascia fece un movimento velocissimo, orizzontale da destra verso sinistra. Colpì Marco all’altezza dell’orecchio destro che morì all’istante.

- Nooo, maledetto cosa hai fatto? Maledetto! – gridò il direttore dell’ufficio postale, alzandosi in piedi ed incamminandosi verso Marco che giaceva a terra.

Al secondo passo venne freddato dal colpo di pistola esploso da Il Pazzo che lo centrò in piena fronte.

- E due! Chi vuol essere il prossimo? – ringhiò verso la massa di persone distese a terra.

Si sentirono
dei gemiti, una donna iniziò a piangere, ma nessuno proferì parola.

Un minuto più tardi, Pancia, Tremolina e il Pazzo percorrevano contromano Via Salaria a bordo dell’ Alfa Giulia 1300 rubata la sera prima.
 


 

Pensieri privati - Inevitabile  - Cininnotta

 

Eve piangeva.
Sola sul letto, il giorno del suo compleanno.
Ogni volta ero lo strazio di un funerale, il funerale di un altro anno di vita che scorreva via....
Aveva sempre la sensazione di non avere vissuto appieno i giorni, che le erano scivolati sotto ai piedi come la cera del pavimento di Gelsomina, la signora che faceva le pulizie tre volte a settimana.
Le capitava di provare qualcosa di simile anche a Capodanno, ma era diverso: Capodanno era un male di tutti, il suo compleanno invece era una cosa privata.
Privata come i pensieri.
Si sentiva sola. Il suo disagio era profondo e cupo. Aveva nelle orecchie lo stesso rumore che le era capitato a volte di sentire sott'acqua: sordo, indistinto, opprimente, un non-suono.
Sapeva che le sue paure e le sue angosce erano nulla in confronto a quelle che, la mamma le ripeteva, erano "le vere disgrazie".
Ma cosa poteva farci lei se si sentiva così?
E poi c'era 'sta benedetta storia dell'amico di Gea, la sua confidente dall'alba dei tempi.
Glielo aveva detto che non voleva conoscerlo, ma niente.
"Non esiste che non si festeggi il tuo compleanno, quindi muovi il culo e fatti bella" - le aveva detto per telefono quella mattina - "perchè stasera ti voglio più in forma che mai! Vedrai, questo ragazzo ti piacerà! E' un vecchio stile, ma so che ti piacerà, fidati!"
Eve, invece di sentirsi palpitante per quell'incontro, era infastidita. Non voleva pensare a cosa indossare, a come pettinarsi, a quale discorso idiota le sarebbe toccato prendere parte.
Poi, c'era quella molesta sensazione di estraneità che non riusciva a spiegarsi. Si guardò allo specchio: i capelli rossi liquorosi, gli occhi distanti, il naso coperto di efelidi. Tutto era al proprio posto, eppure non lo era. Inevitabile. Pensava solo questo. Inevitabile.
Si infilò sotto la doccia controvoglia, Si preparò, scelse senza pensarci una maglietta rosa, una gonna verde foglia ed un ciondolo d'argento.
Scese le scale come immersa in una bolla incorporea, parte di un tempo indistinto, proiettata in un'altra dimensione. Il niente stava ferocemente tornando per essere compiuto, inevitabile.
Svolazzando, arrivò all'appuntamento sotto l'albero nel giardino di Gea.
Lui era già lì e le sorrideva. Aveva un regalo per il suo compleanno.
Le immagini divennero traslucide, bagnate, sfocate, bruciate: Eve venne risucchiata lontano nel tempo e tornò.
"Tu devi essere Eve. Piacere, io sono Adam"
Le diede
il pacchetto. Un lettore Mp3 della Apple. Lei se lo mangiò.

Il serpente argentato intorno al suo collo, intanto, strisciava veloce fra i suoi capelli, ubriacandosi.

 


 

Dedicato a...   - Cininnotta

 

ANCHE IO TI AMO.
O FORSE AMO LE ANCHE?
O FORSE NO.
SI SI TI AMO.
MAH, FORSE TI VOGLIO SOLO BENE.
NO NO TI AMO PROPRIO.
CHI LO SA, FORSE.
SI, TI AMO. ANCHE. IO.